mercoledì, giugno 28, 2006

ehi tu ... si dico a te!


che tu ti sia imbattuto casualmente o volutamente nel nostro blog, lascia una traccia del tuo passaggio faraà sentire meno soli me e il mio fido compare che in mille modi cerchiamo di stimolare l'interesse al blog.

l'ultima idea è la lotteria di mezza estate ! il primo a commentare questo post avrà l'onore di avere a cena a casa per una settimana il grande marcons che allieterà il dopocena con la lettura di brani scelti dalle sue pubblicazioni di argomento tributario.

da leccarsi i baffi, ma che dico da tapparsi le orecchie!!!

venerdì, giugno 23, 2006

il muro del pianto



raccontate qui le vostre impressioni dopo questa densa mattinata forse non serve a molto, ma il lamento evita il travaso di bile e allora lamentatevi ... lamentiamoci!

DAL BOTTA E RISPOSTA DEL NOSTRO SITO:




Botta & Risposta UGDC BARI E TRANI:


Nome: Guido
Cognome:
email:
Titolo: Figli di nessuno!
Quesito: Si sono da poco svolti gli esami e,con grande disperazione,abbiano appreso dell\'enorme difficoltà della prima prova scritta:controllo di gestione nei comuni e nelle province!Giorni e giorni di studio, fatica che non è valsa a nulla! Non voglio risposte..utilizzo questo spazio solo per condividere la rabbia, la disperazione con chi ha vissuto la mia stessa esperienza. Parlo di tutti coloro che si sono davvero impegnati...lavoro e studio..e non di chi,invece, passerà l'esame ma solo perchè ha scopiazzato qua e la'...munito fino all'inverosimile di bigliettini e foglietti vari..oppure, il che è peggio, ha semplicemente scelto tra traccia A, B o C ... già sapeva ... poveri noi, figli di nessuno!
Sezione: Varie

sabato, giugno 03, 2006

sulla 'materialità' delle banche dati

con grande piacere pubblico un contributo del nostro amico e collega Marco Cramarossa. spero che altri, seguendo il suo esempio, ci facciano pervenire i loro articoli, o postandoli direttamente sul blog, o spedendoli a me p.intrano@studiointrano.it, o inviandoli via fax a me o altri 0805721015, o telegrafandoli, o con i segnali di fumo, o per telefono, o ... come volete insomma, ma fatevi sentire! da muti non serviamo a nessuno se non a chi muti ci vuole.

Carissimo Pasquale,
ti invio un articoletto a commento della Risoluzione n.72/E del 25 maggio 2006 da pubblicare sul sito UGDC di Bari e Trani: come vedi ho raccolto l'invito di Ferdinando, lanciato durante l'ultimo direttivo, anche perchè ultimamente ho visto che il sito sta sviluppando delle preoccupanti piaghe da decubito (certo non per colpa tua)!!
Scherzi a parte, siccome l'articolo ha delle implicazioni in fenomologie dove certo tu puoi salire in cattedra, ti pregherei di dargli una occhiata (non appena avrai un po' di tempo, s'intende) prima di pubblicarlo ed eventualmente ove vi fossero delle implementazioni e suggerimenti sarei ben lieto di accoglierli!!
Un abbraccio,

Marco Cramarossa

ED ECCO L'ARTICOLO

E verrà un tempo in cui l’Agenzia delle Entrate per “gabbare” il contribuente si baserà sul contenente invece che sul contenuto.
Sottotitolo: ovvero come si passa dalla Risoluzione n.117/E del 12 aprile 2002 alla n.72/E del 25 maggio 2006.



Ebbene quel tempo è arrivato il giorno 25 maggio 2006, ed è giunto con la Risoluzione n.72/E.
Facciamo prima un salto nel passato ed andiamo al 12 aprile 2002, giorno in cui l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n.117/E , operando una interpretazione sistematica delle norme sul reddito di lavoro autonomo, affermò con estrema disinvoltura che il costo di acquisto di un bene immateriale (si trattava nello specifico di un software applicativo) deve essere dedotto dal reddito imponibile del professionista per quote costanti in misura non superiore ad un terzo in conformità al dettato dell’art.68 del TUIR (ora art.103), e questo prescindendo dall’effettivo pagamento. Ora l’art.103 del TUIR disciplina, e disciplinava, non il reddito di lavoro autonomo, ma d’impresa, e, pertanto, l’interpretazione, che di sistematicità in realtà aveva soltanto l’aumento del gettito erariale, è apparsa subito non condivisibile, in quanto rendeva applicabile, in via analogica, alla determinazione del reddito di lavoro autonomo una norma che il legislatore ha ritagliato solo ed esclusivamente per la rappresentazione del reddito di impresa.
La determinazione del reddito di lavoro autonomo degli esercenti arti e professioni è stabilità in base al dettato normativo disposto dall’art.54 (già art.50) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917. Il cardine fondamentale della norma è rappresentato dal cosiddetto criterio di cassa: in base a tale principio il reddito dei lavoratori autonomi è determinato dalla differenza tra i compensi materialmente percepiti (incassati) e le spese effettivamente sostenute (pagate) in ciascun periodo di imposta. Le uniche deroghe consentite al prefato principio di cassa, rendendolo così di fatto un sistema misto, sono tassativamente enunciate nei successivi commi dell’art.54, ed in particolare quella che qui ci interessa ricordare è contenuta nel comma 2, che così dispone: “per i beni strumentali per l’esercizio dell’arte o professione esclusi gli immobili e gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione di cui al comma 5 sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del Ministero delle finanze. E’ tuttavia consentita la deduzione integrale, nel periodo di imposta in cui sono state sostenute, delle spese di acquisizione di beni strumentali il cui costo unitario non sia superiore ad 1 milione di lire (ndr oggi € 516,46).” La norma appena citata dispone, quindi, la rilevanza, anche nel reddito di lavoro autonomo, delle quote di ammortamento risultanti dall’applicazione al costo dei beni strumentali dei coefficienti di ammortamento ministeriali con il D.M. 31 dicembre 1988, che all’art.2 così recita: “la tabella di cui all’articolo precedente (ndr ovvero la tabella dei coefficienti di ammortamento) è altresì approvata, ai sensi e per gli effetti dell’art.50 (ndr ora art.54) del testo unico citato nell’art.1 (ndr D.P.R. 22 dicembre 1986 n.917), per i beni materiali strumentali per l’esercizio dell’arte o professione, applicandosi a tali beni i coefficienti di ammortamento previsti per i medesimi beni di corrispondenti o similari attività esercitate in forma di impresa.” E’ assolutamente chiaro che il riferimento è solo ed esclusivamente ai beni strumentali materiali. L’impostazione chiara ed evidente, con l’utilizzo di un sistema univoco e non suscettibile di valutazioni di tipo soggettivo, come è quello di cassa, che il legislatore ha voluto dare per la determinazione di questa tipologia di reddito non può essere, pertanto, stravolta e modificata in via interpretativa. In sostanza il principio di cassa si muove all’interno di una duplice valenza, essendo, da un parte, il primo criterio previsto per la determinazione dei redditi prodotti dagli esercenti arti e professioni, ma allo stesso tempo rappresentando pure una sorta di norma di chiusura allorché, dovendosi valutare le modalità di deducibilità di un costo pluriennale differente da quelli indicati nello stesso art.54 del TUIR, il legislatore non abbia previsto un criterio alternativo a quello di cassa. Non può e non deve essere sufficiente notare che taluni costi, sostenuti nell’ambito dell’esercizio professionale, siano caratterizzati da una presunta utilità pluriennale, per derogare sic et simpliciter al criterio di cassa, in quanto se la norma in oggetto non prevede un criterio che tenga conto del rinnovarsi nel tempo di tale utilità, si dovrà applicare necessariamente la clausola di chiusura, ovvero il principio di cassa. Il ragionamento trova consolidamento nella circostanza che, prima della modifica normativa che introdusse la deducibilità secondo quote costanti di ammortamento, per cinque annualità, delle spese di ammodernamento e ristrutturazione degli immobili, nessuno, mi risulta, avesse mai dubitato e messo in discussione la integrale deduzione della spesa sostenuta dal reddito professionale. La norma fu introdotta proprio perché mancava una apposita e specifica previsione in merito, diversamente la modifica non avrebbe avuto alcuna ragione d’essere. Si è reso, pertanto, necessario un intervento legislativo mirato e specifico per poter derogare al fondamentale principio di cassa, così come statuito dal primo comma dell’art.54.
In questa direzione si è espressa l’autorevolissima Commissione “Norme di comportamento e di comune interpretazione in materia tributaria” dell’Associazione dottori commercialisti di Milano, che, con la norma di comportamento n.151, ha cassato perentoriamente la Risoluzione in parola affermando che “fuori delle deroghe appositamente previste dal legislatore, tutte le spese inerenti l’attività professionale, ancorché di natura pluriennale o relative all’acquisto di diritti e beni immateriali (come ad esempio quelle per l’acquisto di software applicativo), devono essere considerate integralmente deducibili nella determinazione del reddito di lavoro autonomo degli esercenti arti e professioni nel periodo d’imposta in cui ne avviene il pagamento, secondo l’ordinario criterio di cassa….”
E’ appena il caso di aggiungere che l’interpretazione dell’Agenzia è stata forse influenzata dalla circostanza che la risposta all’interpello aveva come oggetto l’accessibilità all’agevolazione “Tremonti-bis”. La volontà di estendere tale agevolazione anche ai professionisti ha evidenziato l’intenzione del legislatore di accomunare il più possibile le imprese ai lavoratori autonomi, ma rimane punto assolutamente fermo che la disciplina della determinazione perimetrale del reddito sia sostanzialmente e profondamente differente per le due categorie.
L’Agenzia deve aver incassato il colpo e, a distanza di quasi quattro anni, trovatasi di fronte ad una nuova “ghiotta” istanza di interpello, non si è lasciata sfuggire, ancora una volta, l’occasione per dare una mano ai disastrati conti pubblici con la Risoluzione n.72/E del 25 maggio 2006. In tale domanda di interpello il contribuente, nella fattispecie un dottore commercialista (per gli inevitabili commenti sulla circostanza si attenda, pazientemente, la conclusione delle presenti osservazioni), prospettava o la materialità dell’acquisto di una banca dati su cd-rom (contenente diversi documenti come istanze, ricorsi, contratti, atti societari, bilanci, perizie e via dicendo), con determinazione dell’ammortamento al 20% previsto per i computers e i sistemi telefonici, oppure, ma in via più gradata, la immaterialità del medesimo acquisto, ventilandone il concorso alla formazione del reddito imponibile per quote costanti in misura non superiore ad un terzo: tale ultimo criterio di ripartizione del costo, prospettato dal collega, si basa sul disposto dell’art.103 del TUIR ed, evidentemente, anche in virtù di quanto asserito dalla criticata Risoluzione n.117/E.
Questa volta però il punto di vista dell’Agenzia è stato quello tipico di colui al quale indicando la luna dice di vedere il dito. Di fronte alla prospettata immaterialità dell’acquisto, l’Agenzia, ancora “intontita” dalle critiche mosse alla precedente Risoluzione 117/E, ha pensato bene di ribaltare i problema e di valutare non il contenuto (dematerializzato), ma probabilmente il contenitore (quello si materiale). Ed ecco che “nel caso di specie”, sostiene la Risoluzione, “si ritiene che la banca dati in questione, contenuta su cd-rom, date le sue caratteristiche, sia da considerare quale bene materiale strumentale all’attività di lavoro autonomo, avente un’utilità pluriennale e, pertanto, il relativo costo sia ammortizzabile secondo i criteri indicati dal citato decreto ovvero deducibile integralmente per cassa se di importo inferiore ad euro 516,46.”
Ora per dedurre la materialità dell’acquisto in parola, e per converso negare la immaterialità del medesimo, l’Agenzia sostiene che l’asserzione sia conforme al Principio Contabile nazionale n.24 ed alla Circolare delle Dogane n.142 del 15 maggio 1995. Cerchiamo, quindi, di capire il percorso seguito dall’Agenzia, ma tanto dalla lettura del Principio Contabile n.24, quanto dalla citata Circolare delle Dogane non sembrano arrivare elementi che possano confortare la tesi propugnata. La Circolare in oggetto, in materia di valore dei beni in dogana, si preoccupa di fornire chiarimenti in merito alla distinzione tra valore del supporto informatico e valore ivi contenuto, ma con esclusivo riferimento a diversi tipi di software, tanto da giungere ad una precisa definizione di software specifico e standard, e soprattutto non contiene, a mio sommesso avviso, la presunta catalogazione della fattispecie che qui ci occupa nella genus della materialità. Quanto al citato Principio Contabile, il quale si occupa delle immobilizzazioni immateriali, non vi è alcun riferimento che possa anche solo vagamente negare la immaterialità dello specifico bene che qui ci occupa, né in verità corroborarla.
Credo allora che, per dare una compiuta risoluzione del problema, indispensabile sia riuscire a comprendere i termini esatti della questione, ovvero l’ontologia della tipologia di spesa in parola: a volerla dire, infatti, con le parole di Richard H.S. Crossman, filosofo di Oxford, "se non conosciamo precisamente i significati delle parole che usiamo, non possiamo proficuamente discutere di niente".
Ed allora cerchiamo di dare una definizione formale, sostanziale e giuridica di banca dati. Lo sviluppo del mercato delle basi di dati su cd-rom, specie nel contesto italiano, è stato prodigioso negli anni ’80, ma legato anche ad una diatriba di lunga data che vedeva le banche dati on-line versus cd-rom. Si può dire che ad oggi la situazione che vedeva vincenti sul mercato i supporti cd-rom, sia stata in realtà sovvertita, sebbene il supporto in parola continui ad avere una forte predominanza in quel segmento di mercato che si rivolge al cittadino medio, nonché ad una utenza generale o domestica (prodotti per personal computers, biblioteche di moderate dimensioni con utenza non specializzata), od ancora per prodotti “consumati” in ambito scolastico o per informazioni tecnico-giuridiche-amministrative.
Nello specifico la definizione di base di dati è stata originariamente coniata nel 1993 da Brunella Longo, che ne parla come di una “collezione di informazioni registrate in formato leggibile dall'elaboratore elettronico e relativa ad un preciso dominio di conoscenze, organizzata allo scopo di poter essere consultata dai suoi utilizzatori”. Tale definizione, in linea generale valida anche oggi, ha bisogno però di essere implementata sia concettualmente che formalmente. Di questa revisione, ma che vista la rapida evoluzione del fenomeno avrebbe già bisogno di ulteriori limature, si è occupato Riccardo Ridi, che così le definisce “…le banche dati appaiono chiaramente come gli eredi elettronici degli indici, dei repertori, dei cataloghi, delle bibliografie e delle enciclopedie cartacee, collocandosi di diritto all'interno del nocciolo duro di quella ampia nebulosa dai confini sfumati costituita dalle cosiddette opere di consultazione”. Una definizione più marcatamente giuridica, che coglie anche il tratto caratteristico della ricerca di creatività nella peculiarità dei criteri con cui l’autore ha effettuato la raccolta e ne ha disposto il risultato, è quella fornita da Paolo Auteri: “banca dati è una raccolta di informazioni o elementi, costituenti o meno opere dell’ingegno, scelti e/o disposti secondo determinati metodi o sistemi in modo da consentire all’utilizzatore di accedere alle singole informazioni ed al loro insieme”. La sostanza tratteggiata dalla dottrina è stata successivamente metabolizzata dal legislatore.
L’impianto normativo del diritto d’autore in Italia è rimasto sostanzialmente inalterato dal 1941, con la legge di riferimento n.633, fino alle prime modifiche degli anni ’80, per poi passare attraverso una profonda evoluzione normativa negli anni ’90, risultato del recepimento delle direttive comunitarie europee (in particolare la 96/9/CE). Il legislatore con il D.Lgs. 169/99 ha innestato sul piano normativo del diritto d’autore italiano un nuovo numero (n.9) all’art.2 l.a., dando così legittima dimora alla definizione delle banche di dati, individuate come le “raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo”. La tutela delle banche dati, come del resto precisato nel comma definitorio, non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto.
La forma dell’idea è un bene innegabilmente immateriale ed è, pertanto, un opera dell’ingegno. L’opera rappresenta il corpus mysticum, mentre il supporto il corpus mechanicum. Il corpus mysticum, pertanto, che genera la sfera del diritto morale, ma si riferisce anche alla facoltà patrimoniale, è rappresentato dall’opera colta nella sua immaterialità che va a transustanziarsi nel supporto (corpus mechanicum), ed è inteso nella sua unicità. E’ la forma di un’idea, un concetto che poi si incarna e concretizza in un supporto fisico.
Lungi dal volermi dilungare oltre in discettazioni pseudo-filosofiche sul rapporto contenuto/contenente, la precedente disamina vorrei fosse solo uno spunto di riflessione su come la materia sia profondamente complessa e costantemente in evoluzione, tanto da pretendere, a mio sommesso avviso, una più riflessiva, ponderata e, mi sia concesso, meno superficiale e sbrigativa conclusione nel merito.
L’Agenzia, infatti, con grande disinvoltura e scarsa motivazione, e ritengo probabilmente anche contro una precedente assimilabile Risoluzione del Ministero delle Finanze (prot.n.8/490 del 15 marzo 1980), valuta la materialità del supporto cd-rom, che altro non è che il veicolo del vero oggetto di spesa, ovvero la banca dati in esso immaterialmente contenuta. Se si propendesse per l’impostazione dell’interprete, e vista la sempre maggiore immaterialità anche dei libri di testo o dei codici acquistabili su supporti informatici, si arriverebbe al paradosso secondo il quale un codice cartaceo è immediatamente deducibile dal reddito, mentre lo stesso codice su cd-rom dovrebbe soggiacere alle stravaganze interpretative dell’Agenzia. A meno che non si voglia ritenere che anche un testo cartaceo sia da considerare un bene materiale strumentale all’attività di lavoro autonomo ed, in quanto rispondente ad una utilità pluriennale, ammortizzabile: aspettiamo, fiduciosi, che qualcuno possa prospettare anche questa ipotesi all’Agenzia!
Ed il termine stravaganze non appaia esagerato alla luce delle conclusioni della Risoluzione che, dovendo affannosamente e disperatamente ricercare una aliquota di ammortamento da affibbiare alla banca dati su cd-rom, così si esprime “si ritiene che, in assenza di una esplicita previsione nel D.M. 31 dicembre 1988, sia corretto applicare il coefficiente del 15% relativa al gruppo XXII - Attività non precedentemente specificate – Altre Attività – Attrezzature varie”. La circostanza credo si commenti da sé.
Quand’anche non si dovesse ravvisare la immaterialità dell’acquisto di specie, credo che, anche sulla scorta di quanto precedentemente detto e semplicemente basandosi sul principio della prevalenza della sostanza sulla forma, un concetto recepito dal legislatore civilistico, con la riforma recata dal D.Lgs. n.6/2003 (entrata in vigore il 01 gennaio 2004) e dai principi contabili nazionali da sempre, si possa, spogliandosi dall’astenia di pensiero, ragionevolmente accostare ed equiparare il bene in parola al suo naturale alter ego cartaceo, così da eliminare qualsiasi dubbio e problema in radice. Ad oggi, purtroppo, non esiste alcun chiarimento circa l’applicabilità e l’accettazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma anche da parte del legislatore tributario, e queste interpretazioni sono forse il segno tangibile e concreto di questa ritrosia.
Preme, inoltre, mettere in evidenza che in un discutibile passaggio della Risoluzione n.72/E l’Agenzia sostiene che “l’articolo 54, comma 2 del TUIR dispone, in deroga al principio di cassa che informa la disciplina del reddito di lavoro autonomo, che per i beni strumentali per l’esercizio della professione….sono ammesse in deduzione quote costanti di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti con D.M. 31 dicembre 1988.”
Possiamo con certezza affermare che tale imprecisa indicazione di presunte “quote costanti di ammortamento” non solo non emerge assolutamente dalla lettera del dato normativo, il quale si limita ad affermare che le quote annuali di ammortamento non devono essere superiori a quelle derivanti dall’applicazione dei coefficienti di cui al citato D.M., ma sembra essere anche in contrasto con quanto affermato dalla medesima Agenzia nella Circolare del 18 giugno 2001 n.58 (§ 2.4), nella quale si sostiene, infatti, che “qualora gli ammortamenti annuali vengano effettuati in misura inferiore a quella risultante dai coefficienti, le quote di ammortamento relative alla differenza sono deducibili negli esercizi successivi, ferma
restando la quota massima prevista”: di fatto riconoscendo implicitamente che le quote di ammortamento possano essere, nei vari esercizi, anche di importo differente.
Ebbene, è giusto ed opportuno fare una sacrosanta critica alle interpretazioni a volte inconcepibili dell’Agenzia delle Entrate (si veda da ultimo anche la posizione delle Entrate sui rimborsi spese dei professionisti, così come espressa in occasione della diretta MAP del 18 maggio scorso), ma anche un po’ di autocritica non guasta.…perché errare humanum est (vedi Ris.117/E), perseverare autem diabolicum (vedi Ris.72/E)!!


Marco Cramarossa
Dottore Commercialista in Bari
marco.cramarossa@cndc.it